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In periodo di manovre finanziarie e crisi finanziarie, ritengo sia utile dare un’occhiata all’andamento nel tempo di alcune variabili macroeconomiche USA e dell’area euro. Molte volte le notizie reperibili sui giornali si limitano al commento del valore del singolo dato uscito più recente, spesso astraendo dal suo trend di lungo quando non tale uscita non faccia scalpore. Valutando invece la questione con più ampio respiro, si può capire meglio la validità di alcuni indicatori, quale profondità abbia raggiunto la congiuntura, eventuali eccessi formatisi nel corso della bolla speculativa e la strada ancora da percorrere per coprirli.

Cominciamo con la nostra cara Europa. Si parlava diversi mesi fa del potenziale ruolo di leader nella ripresa mondiale da parte dell'Unione, capace di fare da traino nella creazione di valore e nel mettere mano senza timore ai portafogli, facendo così da volano alla ripresa americana. Ecco i risultati:

 

 

Purtroppo i dati si riferiscono ancora a luglio ma risulta evidente come a un calo delle esportazioni sia corrisposto una discesa ancora maggiore delle importazioni, mantenendo così una bilancia commerciale favorevole: fattore non proprio corrispondente ad una economia trainante. Consoliamoci con il fatto che almeno un po’ di soldi che erano usciti stanno ritornando nei nostri mercati:

 

E nel frattempo il PIL rallenta tenuto su per il 21,4% dalle spese dei governi, il 42,9% dalle esportazioni, il 64,3% dalle spese dei consumatori e con un contributo negativo del –28,6% dal lato degli investimenti e delle scorte.

La situazione quindi non è delle migliori anche se, per fortuna sul fronte del “consumer spending”, il tasso di disoccupazione dopo una apprezzabile discesa fino a tutto il 2000 si sta mantenendo stazionario con una leggerissima tendenza al rialzo. Ironicamente parlando, al momento noi sembriamo allontanare il pericolo deflazione globale (annunciato ancora diversi report fa) grazie all’inflazione da euro moneta ma, in ogni caso, Duisenberg ha ancora spazi di manovra sui tassi ad una utilità marginale nettamente superiore a quella di USA o Giappone.

USA 

Passando al pianeta America, da aprile la disoccupazione e rimasta piuttosto stabile attorno a valori tra il 5,5-6% e viene accompagnata da una congestione dei prezzi al consumo. Nonostante i prezzi alla produzione siano in discesa e il costo del lavoro abbia subito un evidente ridimensionamento sembra che anche qui lo spettro deflazione sia lontano.

 

 

 

I pericoli però sono solo in parte interni agli USA, quello che veramente deve preoccupare è la questione se le economie occidentali sapranno subito assorbire l’ondata competitiva dell’apertura della Cina e dell’India al mercato globale, due paesi in cui un mese di lavoro nostro corrisponde per un operaio ai compensi di tutta una vita. Tralascio ad un altro report o sede questo interessante discorso e vorrei portare invece all’attenzione dei lettori del Lombard dei dati non molto seguiti dai mass-media ma molto eloquenti sullo stato di indebitamento delle imprese e delle famiglie:

 

 

 

Si può notare l’incredibile impennata dell’indebitamento durante il periodo di boom economico, debiti che all’interno delle famiglie continuano a crescere a tutt’oggi. Investimenti delle imprese stagnanti, economia che singhiozza, disoccupazione crescente e debito alle stelle: quanto alta è la possibilità di crack e fallimenti che accendano la miccia del cosiddetto effetto avvitamento? Difficile, molto difficile stabilirlo ma il pericolo è reale.

La continuazione della fase economica negativa è altresì confermata da un altro dato poco guardato: la costruzione di edifici non residenziali. Nonostante i tassi bassi, l’indicatore è ovviamente in picchiata libera. La capacità previsionale è nulla, ma una sua stabilizzazione sarebbe indizio di un netto miglioramento dello stato di salute dell’economia.

 

 

Infine, per la cronaca, il grafico dell’andamento del P/E e del dividendo/prezzo relativo all’S&P500. Non sembra che le aziende siano così sottovalutate. Voglio sottolineare che io nell’attuale fase non credo in maniera categorica al valore predittivo del P/E, in quanto studi passati dimostrarono che durante la formazione del bottom nella Grande Depressione i P/E raggiunsero livelli piuttosto elevati per effetto della reale contrazione negli utili.

 

 

Nonostante i molti punti bui nello stato di salute del sistema economico mondiale, tutti i dati descritti non devono a mio avviso essere adottati a sostegno di una tesi catastrofista, nemmeno per favorire l'apertura di posizioni o opinioni "contrarian", bensì come semplice chiave di lettura per capire il momento in cui viviamo ed agire di conseguenza: se almeno il 50%+1 degli economisti che contano sapessero predire correttamente l'andamento futuro dell'economia non saremmo di sicuro nell'attuale fase critica!!!

Al prossimo report che verterà sulla forza relativa.

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