I lettori ormai mi conoscono e sanno che per ragioni anagrafiche ho il pallino di certi argomenti. Succede così quando si vivono in prima persona determinati eventi e la propria vita ne rimane condizionata. Chi si ricorda come fosse ieri quando a 20 anni a piedi camminava nella steppa ucraina con il modello 91 a tracolla e provava quel senso di impotenza che solo una distesa immensa di girasoli può dare allora capisce perché l’orologio della storia per me si sia fermato a quei giorni del 1942.
Eppure un lettore mi ha regalato un libro che mi ha fatto deragliare da quei binari ormai, forse, noiosi per i lettori. E così nella posta mi sono trovato di Ryszard Kapuscinski "Ebano", edizioni Feltrinelli. Subito ho provato grande gioia (non capita a tutti lavorare in un settore dove un tuo cliente ti regala una cosa così intima come un libro) poi un po’ di sgomento: cosa avrei scritto se il libro non mi piaceva ?
Per fortuna ho dei lettori che quasi sempre mi stupiscono per il loro palato fino ed in questo caso ho avuto la piacevole riconferma che se un gruppo di persone si pone onestamente verso un gruppo di lettori si crea una comunità in cui lo scambio di informazioni non è mai unidirezionale.
Ma veniamo al libro, di cui mi ricordo il lancio e le recensioni sui giornali al momento della sua pubblicazione. Mi ricordo anche che avrei voluto comprarlo, ma poi per una diffidenza congenita verso i prodotti che vengono spinti di più dall’industria editoriale non l’ho fatto. E questa volta ho sbagliato di grosso.
E’ un libro che parla dell’Africa, non della storia, non di una storia, ma delle persone che un corrispondente dell’agenzia di stampa polacca Pap ha incontrato nel suo lungo soggiorno in Africa. Non solo delle persone, ma delle situazioni e soprattutto, cosa che mi ha colpito moltissimo, delle sensazioni che l’Africa può generare in un uomo. Quando parlo di sensazioni intendo di profumi, odori, tatto, rumori. E’ questo che del libro mi ha colpito di più. Di come questo giornalista sia riuscito a raccontare degli odori e dei sapori, dei rumori, degli oggetti che ha toccato. E’ un’Africa che va al di là degli stereotipi terzomondisti, della globalizzazione buona o cattiva, del neocolonialismo, e di tutto l’armamentario in cui spesso si imbatte chi si avvicina al continente nero. E’ la raccolta delle spedizioni di lavoro di questo giornalista coraggioso, dei colpi di stato e delle mattanze in Libera, della Tanzania, del Mali, e di tutti gli altri mille stati impraticabili, e negletti dall’opinione pubblica, che sorgono come funghi nell’Africa centrale. Ma il capitolo che più mi ha colpito per la sua brutalità e crudezza è quello della Liberia, lo stato che doveva essere il sogno di liberà dei neri americani che rientravano nel continente nero, e che appena arrivati si misero a soggiogare gli autoctoni, loro che si erano "civilizzati". Il succo del libro è che l’Africa ha in se stessa il suo peggior nemico, o almeno così io l’ho afferrato. Un significato se volete triste, che viene subito da rigettare d’istinto, ma che in ogni caso colpisce il lettore perché è espresso con una dolcezza profonda da parte di un giornalista venuto da lontano che ama intensamente l’Africa. Senza nessuna ragione apparente se non il desiderio di conoscenza. Un bel libro, da leggere e soprattutto da rileggere. Un commento come questo lo avrei potuto solo riservare ad un libro sulla mia storia, la storia che ho toccato con mano. E i lettori sanno che per me più di così …