Due parole di commento alla crisi che sta scuotendo i mercati. E' nella esperienza di tutti noi che il mercato immobiliare e il mercato azionario siano antitetici nella loro successione temporale lungo il ciclo economico. Se sale la Borsa l'immobiliare scende e viceversa. Più o meno, anno più o anno meno. E basta passeggiare per le periferie delle grandi e piccole città per constatare come i cartelli ?vendesi? ?affittasi? si siano moltiplicati negli ultimi mesi, tanto che ora in molti rimpiangono i mutui fatti alcuni anni fa. E' normale, è sempre la stessa storia che si ripete. Ora i soldi è meglio investirli in Borsa piuttosto che nelle case perché il ciclo sta diventando maturo e se uno fosse bravo è proprio a comprare durante questa estate che si prenderà il maggior rendimento rispetto al tempo in cui impiegherà i capitali. Ovviamente dopo essere altrettanto bravo a vendere in tempo verso l'estate del 2008. E' chiaro quindi che l'immobiliare deve scendere, fino a quando ovviamente nessuno lo sa, ma tant'è.
Negli USA i profitti aziendali continuano a crescere a ritmi soddisfacenti, se anche ad una cifra piuttosto che due e quindi lo scrollone è venuto solo dal settore immobiliare. L'economia continua a tirare ad un 5% annuo (stima FMI) e dell'inflazione si vede più la paura che la coda. Come prima delle crisi petrolifere il ciclo ora beneficia di un portentoso influsso antinflazionistico: la globalizzazione. I paesi di nuova industrializzazione (Cina in primis ma anche Russia, Brasile, India, Pakistan) esportano manufatti, spesso costruiti con tecnologia occidentale, a prezzi irrisori rispetto a quanto noi possiamo fare in Europa. I fornitori delle nostre aziende sono sempre più in Cina che in Europa. Mi viene da ricordare il nostro stand smontabile che i lettori possono ammirare alle fiere a cui partecipiamo: ebbene in Europa costerebbe 5.000 euro ma il Tomasini, sfogliando le pagine di www.alibaba.com , lo ha comperato per 300 dollari da una azienda cinese. Se invece che report producessimo prodotti lavorati l'acquisto da fornitori cinesi ci avrebbe dato la possibilità di ampliare i margini o semplicemente di stare sul mercato pur a fronte di un costo del lavoro che soprattutto in Italia non accenna a diminuire. Morale: la Cina serve più alle aziende europee che a quelle cinesi e fintanto che i salari in Cina rimarranno sulla soglia della fame e i lavoratori non rivendicheranno i loro diritti ecco che il volano della crescita continuerà a girare. L'inflazione, al di là della paura che fa, rimane il pericolo più remoto, tanto che ormai i futures sui Fed Funds scontano che la Fed diminuirà i tassi di interesse durante l'estate. E il BUND nostrano è volato al rialzo regalandoci un meraviglioso trade rialzista.
Si fa un gran parlare, in queste situazioni, dell'indice VIX, che misura la volatilità implicita delle opzioni sulle azioni dell'SP500. C'è chi lo vede al rialzo dai minimi di 10 verso un livello che potrebbe preludere a fasi di grande inversione, visto che il VIX è scorrelato rispetto all'andamento degli indici azionari. E siccome tutti si coprono allora ecco che la volatilità viene prezzata maggiormente. Venerdì il Vix ha chiuso a 22 e questo inizia ad essere un segnale da prendere in considerazione anche se prima di fasciarmi la testa aspetterei il superamento di 25, sapendo che se il VIX segna un massimo significa che le danze sono iniziate e non certo finire. Volatilità significa soldi se si prende la direzione giusta, ma volatilità significa anche direzione e poi repentino cambio di direzione e quindi ancora cambio di direzione. Insomma, associare la crescita del VIX alla fine del rialzo mi sembra eccessivo. Associare la crescita del VIX all'inizio di un periodo di volatilità (che sia rialzista o ribassista chissenefrega) beh … questo può non essere lontano dal vero.