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Momentum Report (Parte 1 ? Bollettino Globale).


Report tradotto letteralmente in italiano vuole dire rapporto o, variabilmente, cronaca. Dal ?Il Grande Dizionario Garzanti? della lingua italiana si nota che la prima definizione di rapporto è ?scritto in cui si riferiscono dei fatti?. Nella piena libertà che ha sempre contraddistinto il rapporto tra i collaboratori e questo ?foglio? (come ama chiamarlo il Direttore), mi permetto quest'oggi un ritorno alle origini, sia chiaro non del Lombard, che è stata sempre una newsletter prettamente operativa, bensì della parola report. Nel grandioso bombardamento di segnali che gli ormai i navigati lettori imparano a filtrare e criticare, io, in questo Momentum Report, propongo un'analisi di quello che è stato il passato e delle possibili implicazioni per il futuro, nella classica mia metodologia di analisi che parte dalla macroeconomia, per arrivare all'analisi del mercato azionario tramite modelli di momentum.

 

Il mercato finanziario è parte integrante dell'economia reale e, nell'equazione che determina lo stato di quest'ultima, può essere inserito come un fattore alimentante l'economia reale e contemporaneamente alimentato dall'economia reale. Vediamo quindi in questa prima parte quanta benzina c'è nel serbatoio per sostenere i mercati.

 

Si è parlato in questi mesi della grande ripresa economica mondiale, soprattutto di quella croce e delizia degli investitori: l'economia americana. E' veramente così forte questa ripresa? Se facciamo una comparazione con gli ultimi due anni probabilmente sì ad eccezione della UE. Proponendo un barometro tutto mio, ho notato che il mio tasso di impazienza tecnologica nell'ultimo periodo è altamente cresciuto, similmente a quanto avvenuto nel grande (mica tanto) boom economico, mentre negli ultimi due/tre anni, forse per colpa dell'assenza di innovazioni a portata di tutti, ho mantenuto il livello di ?tecnologia? del 2001. Passando invece ai numeri, osserviamo che gli USA ci propinano dati che non si vedevano da tempo: una crescita del Pil (GDP +4.3% nel IV trimestre rispetto all'anno precedente) sugli stessi livelli del 1999, una produzione industriale al 3.3% e di poco inferiore ai livelli pre-bolla, investimenti produttivi e investimenti in scorte galoppanti, consumi privati forti che rappresentano il 56% del PIL, una inflazione bassa (al consumo, +1.7% a marzo analogamente a quella dei primi mesi del 1999), un dollaro debole, tassi d'interesse bassi con masse monetarie stabili se non in ribasso, profitti delle imprese in impressionante impennata (per rendersene conto dell'intensità si prega vivamente di guardare i grafici sottostanti), leading indicators e ISM ai massimi di sempre ed un P/E del S&P500 attorno a 22 come nel 1997. Se vogliamo metterci anche l'analisi tecnica, sul Pil e la produzione industriale, ma non solo, si è formato una bella tazza col manico, una delle formazioni grafiche migliori ed efficaci.

 

 

   

 

 

 

 

 

Non è però corretto, come fanno giornali e TV, far vedere solo ciò che è bello ed io, assumendo lo scomodo ruolo di gufo prima di fare delle valutazioni asettiche, vi dico ciò che non va con l'economia americana.

Innanzitutto, sfruttando gli studi fatti da Robert Prechter e Peter Kendall che sottolineano come la fase espansiva dal 1974 al 2000 (onda V secondo Prechter) sia stata economicamente meno intensa del periodo che va dal dopo guerra a metà degli anni sessanta (onda III), si può valutare come le medie dei dati di questo periodo siano in linea se non inferiori con quelle della onda V. Tralasciando questo fatto che qualche teorico della crescita e dello sviluppo, tramite l'applicazione una serie di concetti che richiedono l'impiego di equazioni differenziali, potrebbe dimostrare come questo sia lo stato di equilibrio individuale verso cui convergono le economie mature (nel senso di economie incapaci di rivoluzionarsi tramite sconvolgenti innovazioni), guardiamo agli indicatori USA che non brillano.

Sarò anche martellante, ma la rassegna dei nei statunitensi parte da quello che chi fa informazione ha ormai dimenticato: il livello di indebitamento degli americani. Se da un lato i cittadini d'Oltreoceano sono stati bravi a mantenere invariato il peso dell'indebitamento per i consumi al 24% del reddito disponibile, quello per i mutui è salito a circa l'80% del reddito disponibile. Tutto questo con un tasso di risparmio dell'1.9% che non permetterà di finanziare la crescita dei mercati azionari come invece avvenne nel 1999, dove si passò da gennaio a settembre dal 4% all'1.5%. Accanto a questo, anche se non deve essere vista malevolmente, la fiducia dei consumatori è sui livelli del 1995, inferiore al periodo 1997-2000. Altro indicatore che a me piace guardare e non viene mai citato da nessuno sono il livello delle costruzioni non residenziali (private non residential construction) che, come già sottolineavo l'anno scorso, sono stabili ma non in ripresa. Accanto a questo, nonostante il dollaro forte, ci aggiungiamo il continuo e sproporzionato deficit commerciale che continua a finanziare la crescita mondiale. Poche zone d'ombra ma sintomatiche.

 

 

 

 

 

                       

 

 

 

 

Fatto quindi un outlook globale dell'economia USA (poi arriveremo anche alla nostra UE), impiegando quanto sviluppato dal maestro Mark Boucher passiamo ora ad tirar fuori i punti favorevoli per il futuro al rialzo ed al ribasso per i mercati finanziari statunitensi da cui dipendono anche le nostre borse.

 

Punti a favore del rialzo: produzione industriale in crescita ma non eccessivamente alta, prezzi al consumo bassi e stabili, consumer sentiment inferiore a 100.

 

Punti a favore del ribasso: Pil dell'ultimo trimestre leggermente superiore ai livelli topici, prezzo delle commodities in rialzo (da guardare positivamente eventuali ribassi o frenate).

 

Gli altri indicatori sono in posizione neutrale.

 

Come si vede ci sono punti di contrasto tra fattori rialzisti e ribassisti che troveranno risoluzione nel prossimo futuro. Alla luce di questo, si può solo affermare che al momento si può mantenere un outlook positivo ma impostato alla cautela.

 

Tralasciando il Giappone che sta vivendo il periodo più felice degli ultimi anni finanziato in gran parte con le esportazioni e gli investimenti fissi, per i mercati finanziari sarebbe inutile parlare di Europa. Sappiamo infatti che le nostre Borse sono al traino degli Stati Uniti e che, se fosse per la nostra economia, non ci saremo meritati quest'ultimo rialzo. Ad ogni modo, sentivo parlare un dirigente di Morgan Stanley che affermava una sottovalutazione delle Borse del nostro continente poiché presentiamo un P/E a 12.5 contro una media storica del 14.5 e che i profitti delle imprese sono cresciuti nell'ultimo periodo del 20%. Se con quest'ultimo fatto siamo d'accordo ed è notabile sbirciando i bilanci aziendali per fare la selezione di portafoglio, del fatto del P/E sappiamo tutti la sua scarsa valenza così preso da solo. Non mi metto a fare discorsi sulla crescita anemica dell'eurozona, mi limito solo a sottolineare come il problema più grande siano i cittadini di Europa: non so se sia la crisi di fiducia o la mancanza effettiva di denari, ma come dimostrano i grafici sottostanti i cittadini europei non spendono più. Per quanto riguarda il resto, puntualizzo come l'inflazione sia bassa e la massa monetaria sotto controllo, mentre abbiamo un Pil da disperati: con buona pace dei risparmiatori a mio avviso la BCE abbasserà i tassi alla prossima seduta, anche perché sarebbe un delitto non farlo. Speriamo che il pessimismo se ne vada il più presto possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il prossimo report sarà di profilo più operativo dove si attueranno analisi sul momentum nelle Borse mondiali, con la valutazione di qualche titolo ?full momentum? sulla Borsa italiana. Alla prossima.

 

 

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