LA POLITICA ESTERA DI BERLUSCONI PARTE 2


Abbiamo notato come le idee e le direttive di politica internazionale di Berlusconi siano sostanzialmente in continuità con quelle della politica estera dell'Italia della Prima Repubblica: fedeltà all'alleanza con gli Stati Uniti d'America, continuazione della partecipazione italiana al processo d'integrazione europea, ricerca di una politica d'amicizia con tutti i Paesi mediterranei ed extraeuropei. Tutto ciò non significa che non vi siano state novità nella politica internazionale dell'età Berlusconi; ma esse vi sono state non tanto nelle grandi linee strategiche, quanto nei mezzi e strumenti tattici e operativi usati nella realizzazione delle direttive generali.

La Prima Repubblica era la Repubblica dei partiti. Questi avevano un forte peso anche sulla politica internazionale, decisa spesso non solo dal governo e dalla diplomazia, ma anche dalle segreterie e dagli uffici studi dei partiti. Oggi nel 2010 i partiti tradizionali di massa sono quasi tutti morti. I partiti attuali assomigliano molto a raggruppamenti di consorterie locali, guidati da notabili di provincia. Essi sono strutture molto fragili. I partiti, destrutturati e deboli, contano pochissimo nella politica estera italiana. Negli ultimi anni, non a caso, nel campo dell'elaborazione della politica internazionale italiana abbiamo assistito alla riconquista di peso e influenza da parte di settori della burocrazia statale (diplomazia e militari), spesso in possesso di competenze specifiche di cui i politici sono privi. Sono, poi, alcune grandi aziende ad avere un peso determinante. L'ENI, ad esempio, autentico Stato nello Stato, ha un'influenza fortissima sulla politica estera italiana e gioca un ruolo determinante nelle relazioni italo-russe e italo-libiche. E' aiutata in ciò dall'essere ricca di autonome risorse finanziarie  e dal disporre di una competente e compatta elite dirigenziale, con tradizione aziendale e spirito di corpo.

Altro recente fatto nuovo è stata la volontà di Berlusconi di personalizzare la politica estera, accentrando a se la gestione dei grandi problemi internazionali. Di fatto le grandi decisioni di politica estera sono prese non dal Ministero degli Esteri, ma dalla Presidenza del Consiglio.

Un elemento, poi, che spicca nella politica estera berlusconiana è la grande importanza data ai problemi e agli interessi economici. Anche qui vi è una continuità con la politica estera della Prima Repubblica. Dopo la seconda guerra mondiale l'Italia non era più forte militarmente e, priva di armi nucleari, era divenuta una potenza di seconda classe. Di conseguenza la dimensione economica e quella culturale diventarono aspetti centrali della politica estera italiana. L'azione internazionale del governo fu concepita spesso come ricerca di opportunità d'affari all'estero per le aziende italiane. Risale agli anni Cinquanta il grande peso degli interessi economici privati e pubblici nella politica internazionale dell'Italia: pensiamo solo all'influenza di Mattei e dell'ENI sulla politica mediterranea dell'Italia, a quella della Fiat sui rapporti con Unione Sovietica e Jugoslavia. Berlusconi ha proseguito questa tradizione accentuandola ulteriormente. Fine primario della politica estera berlusconiana è facilitare la conclusione di affari, di accordi, di commesse per le ditte italiane. E gli affari si fanno con tutti, dai libici ai cinesi, dai bielorussi agli iraniani.

Questo pragmatismo, questa concretezza, sono indubbiamente i punti di forza del Cavaliere in politica estera, e spiegano la sua capacità di evolvere politicamente e di adattarsi agli scenari in mutamento. In campo internazionale inizialmente Berlusconi ha pagato una certa inesperienza. Mal consigliato, ha troppo a lungo proiettato all'estero un'immagine di se aggressiva e troppo schiava dei gusti dell'elettorato di centro-destra italiano. Pensiamo ad esempio all'avere adottato una certa retorica anti-islamica, tanto cara alla Lega, ad alcuni neo-con e teo-con italiani e a molti tradizionalisti cattolici, o all'essere rimasto troppo schiacciato sulla politica estera americana muscolare e messianica di Bush e Cheney. Peccato però che l'Italia non sia una grande potenza economica e militare, sia collocata non nell'Oceano Pacifico ma nel Mediterraneo, sia circondata da popolazioni musulmane ed abbia bisogno di buoni rapporti con i popoli vicini.  Va detto che Berlusconi si è dimostrato capace d'imparare e di correggersi anche in politica internazionale. Si è impegnato a cancellare l'immagine dell'Italia nemica dell'Islam. In questa prospettiva sono stati molto importanti la creazione di uno stretto rapporto con il governo turco, guidato da un partito islamico moderato, e il forte e sincero sostegno di Berlusconi all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. L'esistenza di ottimi rapporti italo-turchi è indubbiamente un elemento importante e positivo dell'attuale politica internazionale del nostro Paese. Berlusconi, poi, ha dimostrato di sapersi differenziare da alcune posizioni statunitensi quando queste danneggiano vitali interessi italiani. Giustamente l'Italia non ha condiviso la politica antirussa perseguita dall'amministrazione Bush nel Caucaso, in Europa orientale e in Asia centrale e ha cercato in tutti i modi di mantenere uno stretto rapporto con la Russia. In questo caso, l'Italia ha seguito una politica verso la Russia coerente con la tradizione diplomatica italiana e abbastanza simile a quella adottata da Francia e Germania.

Il realismo e la concretezza, condite con un po' di cinismo e di opportunismo, sono caratteristiche vincenti del Cavaliere in politica interna ed estera, che, però, lui ama talvolta occultare ricorrendo a semplicistici slogan ideologici, di facile effetto, per i propri seguaci e  per l'elettorato italiano. Il governo Berlusconi si presenta come difensore dei valori tradizionali cattolici, ma cerca ottimi rapporti con Stati islamici negatori dei diritti delle minoranze cristiane, dall'Arabia saudita alla Libia; propaganda un anticomunismo feroce e un po' folkloristico, ma ama stringere contatti con gli Stati dominati da leader ex comunisti, dalla Russia alla Bielorussia.

Oltre ad un'eccessiva ipocrisia, fra i limiti della politica internazionale dei governi Berlusconi possiamo constatare che il Cavaliere non ha creato una vera classe dirigente intorno a sé, con leader che hanno una propria personalità ed autonomia di pensiero in politica internazionale. Manca, poi, in Berlusconi attenzione alla dimensione culturale delle relazioni internazionali. L'Italia non è capace di sfruttare adeguatamente il proprio soft power nei rapporti con gli altri popoli, sapendo enunciare in modo preciso ed organico i propri valori e il modello di società che desidera esprimere; non a caso vi è scarsa attenzione alla promozione della lingua e della cultura italiana nei paesi dell'Europa centro-orientale e del Vicino Oriente. Vi è, infine, una tendenza eccessiva ad usare la politica estera per fini di politica interna, come si è visto in occasione del recente incontro del G8 in Italia. Ciò ha portato spesso a conseguenze molto nocive, soprattutto per la politica italiana in seno all'Unione europea. Lo sposare da parte di molti leader del centro-destra una retorica antieuropeista indebolisce la posizione italiana a Bruxelles. Spesso sembra che l'attuale classe dirigente italiana non sia consapevole dell'importanza e dell'utilità per il nostro Paese di praticare una politica europeista sincera e coerente, unico mezzo per compensare le nostre debolezze e aumentare la propria influenza internazionale. In ogni caso, ad onor del vero, questi difetti sono propri non solo di Berlusconi e dell'attuale esecutivo, ma di tutti i leader politici contemporanei italiani: le vicende della politica estera dei governi Prodi e D'Alema ne sono chiare testimonianze.

 

Luciano Monzali

 

 

(articolo di Sandro Mancini)

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