Silvio Berlusconi è stato il dominatore incontrastato della vita politica di quella che noi chiamiamo la Seconda Repubblica, e che facciamo iniziare con l'emanazione della riforma elettorale maggioritaria e la vittoria elettorale della coalizione di centro-destra guidata dall'imprenditore lombardo e composta da Forza Italia, dal MSI e dalla Lega Nord nel 1994. La sua personalità ha inciso fortemente anche sulla politica internazionale dell'Italia degli ultimi anni, da lui guidata come presidente del Consiglio (e, talvolta, come ministro degli Esteri). E' certamente ancora presto per dare un giudizio esaustivo e documentato sulla politica estera italiana dell'epoca Berlusconi; possiamo però provare a fare alcune riflessioni su determinati aspetti delle relazioni internazionali dell'Italia di questo periodo, cercando di guardare a queste vicende con gli occhi distaccati dello storico.
Vanno, innanzitutto, sottolineati alcuni aspetti del generale quadro internazionale di questi ultimi 15 anni. L'Italia, così come altri Stati europei, ha conosciuto un progressivo ridimensionamento del proprio peso politico ed economico internazionale. E' questo un processo che ha radici lontane e che si spiega con il venir meno dell'egemonia politica, militare ed economica degli Stati europei nel mondo a partire dal secondo conflitto mondiale. Le terribili guerre nella prima metà del Novecento, la dissoluzione degli imperi coloniali, la limitata consistenza demografica e territoriale degli Stati europei rispetto a Potenze come Stati Uniti, Russia, Cina, India e Brasile, sono alcuni degli elementi che spiegano il declino del Vecchio Continente sul piano mondiale.
Il processo d'integrazione europea è stato un tentativo di risposta a questo declino ed è stato in parte un successo sul piano economico e finanziario perché ha allargato le basi di sopravvivenza degli Stati nazionali creando un vasto spazio socio-economico continentale; ma non è stato capace di creare un'Europa politica capace di parlare con una sola voce armonica sul piano internazionale. Il risveglio dei nazionalismi in Europa negli ultimi anni, con la volontà di ogni Stato di preservare la propria autonomia in campo internazionale e militare, è stato un aspetto centrale delle recenti vicende politiche europee e ha soprattutto danneggiato le entità nazionali più deboli come l'Italia, che ha sempre concepito l'integrazione continentale come mezzo per vincolare la libertà d'azione delle nazioni più forti e obbligarle a tenere maggiormente conto degli interessi italiani.
La perdita di peso e d'influenza dell'Italia è quindi un processo strutturale che certo non può essere addebitato esclusivamente a Berlusconi, ma che il politico milanese, così come i suoi rivali del centro-sinistra, Prodi e D'Alema, si è trovato a gestire e ad affrontare. E' un declino, a parere di chi scrive, che si sarebbe potuto contrastare in parte con un maggiore e forte impegno della classe dirigente italiana in campo internazionale. Ma questo, a nostro avviso, è venuto a mancare negli ultimi venti anni. Varie le ragioni di questo disimpegno che è anche un disinteresse: dalla crescente provincializzazione delle classi dirigenti politiche e intellettuali italiane, alla loro mancanza di ambizione internazionale. Il disimpegno dei politici e degli intellettuali italiani è particolarmente evidente nello schieramento del centro-destra, nel quale gli esponenti di punta in possesso di una approfondita conoscenza ed esperienza di politica internazionale si contano sulle dita di una mano.
Così come in politica interna, anche in politica estera Berlusconi si è dimostrato soprattutto un gestore degli equilibri esistenti più che un innovatore o il creatore di un nuovo ruolo internazionale dell'Italia. Se esaminiamo le idee e le direttive di politica estera di Berlusconi, possiamo constatare che sono quelle di un politico della Prima Repubblica: simpatia ideale e fedeltà all'alleanza con gli Stati Uniti d'America, continuazione della partecipazione italiana al processo d'integrazione europea, ricerca di una politica d'amicizia con tutti i Paesi mediterranei ed extraeuropei. Tutto ciò non può certo stupire. L'abile marketing politico dei suoi addetti stampa non può mascherare il fatto che Berlusconi è un italiano della Prima Repubblica, che ha vissuto gran parte della sua esistenza in quell'epoca storica e i cui valori personali e concezione del mondo sono stati forgiati dalle esperienze politiche ed economiche di quegli anni.
Altra similitudine fra politica interna ed estera in Berlusconi è la sua tendenza all'accentramento e alla personalizzazione. Il Cavaliere si ritiene giustamente il fondatore e il leader carismatico della sua coalizione politica e rivendica a sé la scelta delle decisioni più gravi ed importanti. Berlusconi non ama la gestione quotidiana dei piccoli affari politici, delle pratiche e delle questioni amministrative e diplomatiche, ma vuole concentrarsi sulle decisioni rilevanti, sui grandi eventi, sugli incontri più importanti. Preferisce delegare a fedeli collaboratori il disbrigo delle questioni secondarie o delle pratiche amministrative: in politica interna a fedeli secondi come Letta e Tremonti, in politica estera a ministri degli Esteri privi di forte autonomia o a tecnici (consiglieri diplomatici, segretari generali della Farnesina) competenti e di fiducia, esecutori delle direttive del leader.
E' quindi Berlusconi l'autentico protagonista della politica internazionale dei governi di centro-destra, colui che prende le decisioni più importanti e tiene i rapporti con i grandi leader mondiali. Egli punta molto sulla personalizzazione della politica estera, alla creazione di rapporti personali con alcuni statisti mondiali come mezzo per accrescere l'influenza italiana nel mondo. Egli gioca sul suo indubbio fascino e carisma personale, sulla sua capacità di instaurare un rapporto con le persone di qualsiasi rango e livello sociale ed economico, di qualsiasi nazione ed etnia. Assistiamo però ad un paradosso. Il Cavaliere si presenta al pubblico italiano come un leader per eccellenza moderno, avanzato, occidentale, liberale e liberista, ma nella realtà internazionale fa fatica a costruire rapporti personali e politici intimi e stretti con gli statisti dell'Europa occidentale e settentrionale e con i politici statunitensi. La propaganda politica governativa italiana ha esaltato la presunta grande amicizia di Berlusconi con Tony Blair e con George W. Bush, ma la memorialistica politica britannica e statunitense esistente (si leggano i diari di Alistair Campbell, ad esempio) non conferma tutto ciò e indica piuttosto che negli ultimi quindici anni Gran Bretagna e Stati Uniti hanno considerato l'Italia un partner e un alleato secondario sul piano internazionale. I partner europei ritengono il Cavaliere un leader politico di talento e con indubbio consenso popolare, ma un po' troppo mediterraneo, eccentrico e folkloristico per i loro gusti. Più che nel mondo occidentale, la diplomazia di Berlusconi ha avuto molto più successo in Medio Oriente, in Russia, in Europa orientale. I politici russi, turchi, albanesi, bulgari, ungheresi, libanesi, egiziani hanno subito maggiormente il fascino personale del Cavaliere, anche perché probabilmente lo sentono più simile e vicino a loro degli spesso arroganti nordeuropei e statunitensi. Alla fin fine il milanese Berlusconi è un vero italiano, un esuberante e spregiudicato politico mediterraneo, a cavallo fra Oriente ed Occidente: sta qui una delle ragioni, insieme al suo pragmatismo e al suo senso degli affari, di alcuni suoi innegabili successi internazionali, in particolare nei rapporti con la Libia e la Russia.
LUCIANO MONZALI
Professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali
Università degli Studi di Bari