Il mondo in cui viviamo ci sembra sempre più inquietante e pericoloso. Le speranze di una nuova collaborazione internazionale sorte dopo il crollo del blocco sovietico in Europa e la dissoluzione dell'Unione Sovietica sono ormai da vari anni svanite. Abbiamo assistito allo sviluppo di movimenti terroristici d'ispirazione fondamentalista islamica, che hanno scosso le società musulmane e il mondo occidentale. Sono divampate guerre in Europa, in Medio Oriente e nel Caucaso. L'intensificazione delle relazioni economiche, finanziarie e commerciali internazionali è stata accompagnata da traumatici processi di mutamento degli equilibri interni di varie società.
Abbiamo assistito con l'amministrazione di George W. Bush al fallimento dell'unilateralismo statunitense, con la crescente incapacità degli Stati Uniti di svolgere autonomamente un ruolo egemonico sul piano mondiale. Contemporaneamente emergono nuove Potenze mondiali quali India e Cina, e risorge la potenza russa: si sta forse formando un diverso sistema di potere internazionale fondato sul multipolarismo e sull'equilibrio delle forze.
In questo mondo che cambia l'Italia sembra essere sempre più ininfluente e marginale. Più che essere agente e protagonista dei mutamenti, sembra subirli passivamente. A partire dagli anni Novanta vi è stata un'innegabile perdita di peso internazionale dell'Italia, nonostante il nostro Paese sia stato membro dell'alleanza occidentale che ha vinto la guerra fredda contro l'Unione Sovietica e nonostante un'evoluzione degli equilibri di potere in Europa centrale e orientale, con la fine dell'egemonia sovietica, che ci ha fortemente favorito. La dissoluzione della Iugoslavia ha rafforzato la posizione strategica dello Stato italiano, eliminando definitivamente ogni immediata e potenziale minaccia militare. La riapertura dei mercati dell'Europa centro-orientale ha aiutato l'economia italiana: banche e assicurazioni italiane si sono assicurate posizioni d'influenza; vi è stato un grande aumento dell'interscambio commerciale fra Italia e questa regione dell'Europa.
Il minore peso dell'Italia sul piano internazionale, a mio avviso, dipende in parte dalla crisi della classe dirigente politica e culturale italiana. Con il crollo della Prima Repubblica e la distruzione/autodistruzione dei principali partiti italiani (Democrazia Cristiana, Partito socialista, liberali, socialdemocratici e repubblicani, PCI, e poi MSI) si è progressivamente affermato un nuovo personale politico spesso privo d'esperienza e interesse verso i problemi internazionali. Molti dei politici della <<Seconda Repubblica>> sono provinciali e vedono la politica estera esclusivamente in funzione degli equilibri politici interni; vi è poi una scarsa volontà a svolgere un ruolo internazionale: il decadimento del personale politico che rappresenta l'Italia in seno al Parlamento europeo ne è una chiara prova.
Hanno contribuito a questo declino del ruolo internazionale dell'Italia anche altri fattori, ad esempio la nuova impostazione ideologica delle forze politiche italiane. I partiti della Prima Repubblica avevano ideologie con forti connotazioni universalistiche (democrazia cristiana, comunismo, socialismo democratico, liberalismo, fascismo), che li spingevano ad interessarsi dei problemi internazionali. Pensiamo all'influenza e al ruolo della Democrazia cristiana italiana in Europa, il principale partito cattolico-cristiano insieme alla CDU-CSU nel continente, e in America Latina. Vanno ricordati anche il grande ruolo internazionale del Partito comunista italiano, in possesso di contatti su scala mondiale e ritenuto uno dei protagonisti del movimento comunista internazionale, e l'azione del Partito Socialista guidato da Craxi, capace d'intrecciare rapporti con il dissenso antisovietico, con i partiti socialisti europei e latinoamericani, con i movimenti di liberazione nazionale africani e asiatici (eritrei, palestinesi). I nuovi partiti italiani sono privi di questa connotazione ideologica universalistica (Popolo della Libertà, Lega Nord, l'Italia dei Valori), o ne sono molto meno influenzati e stimolati (Partito democratico, UDC). Non a caso i partiti italiani oggi contano molto meno sul piano internazionale di venti e trenta anni fa.
La crisi dell'Italia nella politica mondiale è anche frutto di un'involuzione della società e della cultura italiane degli ultimi anni. Vi è una crisi di valori comunitari e collettivi. Sono riemersi prepotentemente localismi e regionalismi, dall'Ottocento mai così forti e presenti nel comune sentire e del dibattito dell'opinione pubblica italiana. Nella stessa alta cultura vi è scarsa attenzione ai problemi internazionali. Il giornalismo italiano, pur con lodevoli eccezioni, è spesso auto-referenziale e provinciale. La letteratura e la pubblicistica sulla storia e la vita delle Nazioni straniere sono scarse e spesso scadenti, molte volte fondate soprattutto sulla rielaborazione della produzione culturale anglo-americana e francese più che su un autonomo studio delle varie realtà nazionali e dei diversi problemi internazionali.
Mi pare che la società italiana sia impreparata e non adeguatamente guidata dalle sue elite di fronte ai nuovi mutamenti sociali ed economici internazionali, che hanno prodotto un aggravarsi della competizione e l'afflusso di emigrazione e forza lavoro straniera in Italia. Alcune aziende e imprese si sono adattate all'intensificazione della competizione internazionale, ma vaste fasce della popolazione hanno conosciuto un calo del proprio standard di vita e del proprio reddito reale. Le difficoltà di molti italiani sono aggravate dalla crisi dello Stato italiano, sempre più inefficiente e inefficace nel proprio funzionamento, che sembra incapace di rispondere alle sfide del mutamento internazionale. La reazione di molti italiani ai mutamenti è stato il rifiuto aprioristico di questi, il rinchiudersi nel proprio particolarismo. Colpisce la paura per il futuro e il sentimento di insicurezza che caratterizza vasta parte della popolazione: da qui il diffondersi di fenomeni di xenofobia e di chiusura. Molti italiani hanno paura del mondo che cambia e gli attribuiscono le proprie presunte o reali infelicità. Questo clima culturale alimenta il provincialismo della politica italiana, che talvolta strumentalizza le paure degli elettori. Sono premianti sul piano politico discorsi di chiusura e di ostilità verso lo straniero o semplicistiche proclamazioni di difesa dell'identità locale. Alla fine, molto spesso gli stranieri e le istituzioni internazionali come l'Unione europea sono usati come capri espiatori per mascherare l'inefficienza dello Stato italiano e della sue classi dirigenti.
LUCIANO MONZALI
Professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali
Facoltà di Scienze Politiche – Università di Bari