Cedole & dividendi
Leggete innanzi tutto questa notizia diffusa ieri da un’agenzia stampa: “Entro il 2021 le banche centrali potrebbero possedere una quota dei titoli di Stato pari a oltre tre quarti del totale. I record andrebbero a Bce e Bank of Japan, con tetti di circa il 73% e il 78%. E' la conseguenza delle manovre di Quantitative Easing stimata da Martin Dropkin, head of Credit Research di Fidelity International, uno dei maggiori gestori di fondi a livello internazionale. Dropkin, parlando al Morningstar investment conference a Milano, ha analizzato l'impatto delle misure aggressive di acquisto dei titoli di Stato attuate dalle banche centrali come risposta alla recessione. Il calcolo è stato svolto da Fidelity in base al tasso mensile di acquisti di obbligazioni governative rispetto al totale dei bond in circolazione (outstanding) nel 2021, secondo le attese del Fondo monetario internazionale. In particolare, la quota di obbligazioni in pancia alle istituzioni potrebbe crescere nel periodo 2016-2021 fino a raggiungere il 77,98% per Bank of Japan, il 62,44% per Bank of England e il 73,43% per Banca centrale europea. Più modeste le stime per la Federal Reserve, con prospettive di possesso ferme al 15,69%”.
Ecco cosa significa:
1°) Che i governativi rischiano una crisi di liquidità enorme, perché se quote oltre il 70% saranno detenute dalle Banche centrali e altre da operatori istituzionali, il mercato “libero” si ridurrà a ben poco, seppur i loro importi in circolazione siano nettamente maggiori rispetto a quanto avviene per le altre obbligazioni.
2°) E’ pur vero che un giorno o l’altro (auspicabilmente ben prima del 2021) le Banche centrali smetteranno di comprare, perché se dovessero proseguire fino a tale data vorrebbe dire che hanno fallito in pieno la loro azione.
3°) Attenzione però a quanto sta avvenendo sui mercati, dove i rendimenti crescono pur in assenza di novità sul fronte delle politiche dei tassi.
Ieri i Treasuries Usa sono crollati di prezzo nell’arco di poche ore – e quindi gli yield sono aumentati – nel timore che il nuovo Presidente Trump indebolisca il dollaro e adotti soluzioni che portino a un aumento dell’inflazione, per poter così tenere sotto controllo l’enorme debito pubblico Usa pur in presenza di forti investimenti pubblici nel campo soprattutto delle infrastrutture.
Ieri e oggi il Bund decennale ha fatto e fa le bizze, con una forte rincorsa del rendimento, salito nell’arco di poche settimane dall’area negativa (-0,145%) a quella positiva (+0,245%). Il tutto pur dopo una traumatica elezione presidenziale Usa, superata come se nulla fosse.
E il nostro Btp? Male, anzi quasi malissimo. Il suo “future” è sceso dai 146,3 punti di metà agosto agli attuali 137,3, con i titoli a lunga scadenza – oltre i dieci anni - in piena crisi di identità.
Il tutto avviene senza che da parte di Fed e Bce ci siano parole a favore di un rialzo dei tassi nel primo caso e di una fine del Q.E. nel secondo. I mercati temono tuttavia prossime svolte e fanno il loro lavoro.
Il tema è caldissimo e naturalmente vi terremo aggiornati sull’evoluzione globale e dei singoli governativi. Nel frattempo il migliore consiglio è: piedi di piombo.